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3.5 

Victus

By Albert Sanchez Pinol
Victus by Albert Sanchez Pinol digital book - Fable

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Publisher Description

A #1 international bestseller reminiscent of the works of Roberto Bolaño, Carlos Ruiz Zafon, and Edward Rutherford—a page-turning historical epic, set in early eighteenth-century Spain, about a military mastermind whose betrayal ultimately leads to the conquest of Barcelona, from the globally popular Catalonian writer Albert Sánchez Piñol.

Why do the weak fight against the strong? At 98, Martí Zuviría ponders this question as he begins to tell the extraordinary tale of Catalonia and its annexation in 1714. No one knows the truth of the story better, for Martí was the very villain who betrayed the city he was commended to keep.

The story of Catalonia and Barcelona is also Martí’s story. A prestigious military engineer in the early 1700s, he fought on both sides of the long War of the Spanish Succession between the Two Crowns—France and Spain—and aided an Allied enemy in resisting the consolidation of those two powers. Politically ambitious yet morally weak, Martí carefully navigates a sea of Machiavellian intrigue, eventually rising to a position of power that he will use for his own mercenary ends.

A sweeping tale of heroism, treason, war, love, pride, and regret that culminates in the tragic fall of a legendary city, illustrated with battle diagrams, portraits of political figures, and priceless maps of the old city of Barcelona, Victus is a magnificent literary achievement that is sure to be hailed as an instant classic.

3 Reviews

3.5
“Non l’avrei mai detto, ma sono indecisa tra le due e le tre stelle. Parte di me è tentata dal seguire la definizione “it was ok” che GoodReads dà alle due, l’altra dal darne tre perché, in fondo, ci sono degli elementi che le meritano, ma è anche vero che ho dato tre stelle a libri che mi sono piaciuti di più, che fare? Mi affido a quel “it was ok” anche se non è esattamente il giudizio complessivo che darei e do due stelle (che per me non sono una valutazione negativa, ma sufficiente) e preciso che in realtà sarebbero ** e ½ belle abbondanti. Già da questa serie di film mentali si sarà capito che non ho avuto un rapporto semplicissimo con questo libro: avevamo cominciato bene, ho pensato di mollarlo dopo duecento pagine, poi mi sono impuntata e ho deciso di finirlo perché dovevo assolutamente arrivare alla cosa che mi aveva spinta a comprare il libro, ovvero la Barcellona di inizio Settecento. Sono contenta di non aver mollato, perché altrimenti mi sarei persa il meglio della storia e non me lo sarei mai perdonato, ma forse conviene andare con ordine. La scorsa estate, complice una visita a El Born (se avete in programma un viaggio a Barcellona, sisplau, fatevi un favore e andate a visitare quella meraviglia), mi sono imbattuta in questo libro. Avevo visto i resti degli edifici riportati alla luce da degli scavi e ora protetti dalla struttura in ferro che ha ospitato un mercato, avevo passeggiato nelle due sale esposizione vedendo i reperti trovati e imparando qualcosa sulla vita a Barcellona prima del fatidico assedio conclusosi l’11 settembre 1714 e imparando qualcosina anche sull’assedio stesso. Va da sé che la ricerca di libri o di un libro che potessero soddisfare la curiosità che quelle due fantastiche ore avevano suscitato era nell’aria e, senza sapere ancora bene perché, alla fine mi sono decisa per un romanzo storico, questo romanzo storico. Anzi no, forse so perché: ogni tanto penso che partire dalla fiction possa stuzzicare ulteriormente l’interesse ed eccoci qui. Molti altri libri hanno avuto la priorità in questi mesi, quindi ho finito per rimandare e rimandare fino ad ora, anche perché sono più di due mesi che non leggo qualcosa in spagnolo e cominciato a sentirne di nuovo il bisogno. La storia è narrata in prima persona da un quasi centenario Martí Zuviría, un barcellonese che nella sua lunga vita ne ha viste di tutte e di più e ora si ritrova in Austria a dettare le sue memorie alla donna che si prende cura di lui. Questo primo romanzo (sì, ce n’è anche un secondo, come viene fatto capire più volte nel testo e nel momento in cui scrivo è disponibile in libreria già da un po’) ci parla del giovane Martí, di come è diventato allievo del marchese di Vauban e poi ingegnere militare, fino ad arrivare al fatidico 1714, anno in cui, dopo ben tredici mesi di assedio, la tenace Barcellona si arrende alle truppe borboniche e il conflitto che ha inaugurato l’ingresso della penisola iberica nel XVIII secolo si è concluso. In totale viene coperto un arco di tempo di circa dieci anni in cui si alternano fatti storici, fiction, illustrazioni varie, descrizioni di fortificazioni costruite e assediate e così via. Ora si dovrebbe capire meglio perché ho trovato questo libro così interessante all’inizio: non era interessante solo il punto di vista catalano e il confronto-scontro tra catalani e castigliani, ma anche quello di un ingegnere militare e non di un soldato o un generale. Purtroppo, per quanto mi sia sforzata di farmi andare a genio tutto, non ci sono riuscita e ora arrivo al dunque. La narrazione in prima persona ha i suoi pro e i suoi contro. Può limitare e molto il nostro sguardo alla storia che stiamo leggendo per il semplice fatto che, se la voce narrante non è presente in un posto, non può dirci quello che è successo. È vero che può essere frustrante, ma è anche vero che se si è fatta questa scelta la si dovrebbe rispettare senza eccezioni o, se si fanno, non sarebbe male avere una spiegazione Va anche detto che non sempre può essere piacevole essere accompagnati dalla voce di un personaggio. Devo precisare che avere un protagonista imperfetto, irriverente, sarcastico, conscio dei suoi difetti e dei suoi limiti è una scelta che apprezzo, perché lo rende più verosimile. Il problema è che con el bueno de Zuvi (cit.) non mi sono presa per niente. Ci ho provato, aveva in mano le chiavi per essere un signor personaggio e ha anche i suoi momenti d’oro, ma non è scattato quel certo non so che che mi fa entrare in sintonia e empatizzare coi personaggi. E anche come voce narrante ha i suoi ups and downs, non so quanto in questo c’entri la struttura del romanzo, che è assai particolare. Si tratta, infatti, di un racconto in forma orale messo nero su bianco da un’altra persona che viene costantemente insultata e presa a male parole. Può andare bene una volta, due (ma forse no, un po’ di rispetto per chi ti sta facendo questo favore, indipendentemente dal fatto se sia una persona pagata o meno), ma poi basta, diventa stancante e non è per niente divertente. Cosa costringa Waltraud a rimanere vicino a questo vecchio maleducato è un mistero, ma tant’è, ci rimane e scrive tutto, anche gli insulti che lui le rivolge. Per il resto, man mano che andavo avanti con la lettura, ho continuato ad avere l’impressione di avere davanti dei personaggi e dei fatti a cui mancava più spessore. Amelis, ad esempio, è stata per lo più un fantasma e, di nuovo, posso capire il passare degli anni e il dolore di Martí nel ricordarla, ma poteva dare molto di più ed essere sviluppata meglio (povera, a volte ho anche dimenticato che esistesse e non lo meritava). Lo stesso dicasi per il suo rapporto con Martí, che sembra davvero solo un abbozzo, ma anche per quello tra Martí e il resto della sua strana famiglia o tra lui e Berwick. Andando avanti con la lettura ho sempre avuto l’impressione che mancasse qualcosa, che le parti in cui la fiction prende per un attimo la meglio sulla storia fossero le più debolucce e meno soddisfacenti. Un vero peccato perché, come ho già detto, il materiale di base buono c’è e non è neanche poco. Il romanzo è lungo (sono circa 600 pagine) e si tratta di un romanzo storico, per questo mi aspettavo qualcosa in più anche dall’aspetto fiction. Le parti più storiche, però, non deludono e sono tra le più interessanti del romanzo insieme a quelle in cui si parla di cose di ingegneria, anche se non sono sempre state facili da seguire causa terminologia tecnica in un’altra lingua. Ripeto, l’idea di avere un narratore così particolare come Zuviría non è male, perché si capisce che non è qui per fare lezioni di storia e anche il linguaggio vicino a quello del lettore aiuta (se avete grossi problemi col turpiloquio, è meglio che sappiate subito che Martí non è la raffinatezza fatta persona), però non mi ha particolarmente colpita e qui sta il mio problema. Mi si guasta anche la lettura, quand'è così, anche perché, as I said, sono circa 600 pagine e non è mica facile leggerle tutte quando non ti prendi con la voce narrante e/o con l'(anti)eroe della storia. Fortunatamente, le pagine che a me interessavano, ovvero quelle sull’assedio di Barcellona, mi hanno fatto capire che ho fatto bene a stringere i denti e non mollare. Speravo in qualche scena in più su come la gente ha affrontato la difficile vita di tutti i giorni in quei tredici mesi e sulle ultime pagine, quelle sul fatidico undici settembre, qualcuno deve aver premuto l'acceleratore, ma comunque se è stata la parte migliore è anche per la presenza di quelli che per me sono i personaggi più interessanti e anche meglio riusciti, ovvero il generale Villarroel (giuro, ogni volta che era in scena non riuscivo a chiudere il libro) e il miquelet Ballester (magari ci fossero state più pagine su lui e Martí che passano da nemesi a stimarsi pian piano!). E anche Antoine Bardonenche non era malaccio, peccato solo sia uno dei secondari e, quindi, sia stato relegato, per forza di cose, a poche apparizioni. Non avevo intenzione di scrivere così tanto, giuro, ora chiudo. Per ricapitolare, di buoni propositi ce ne sono in Victus e ammetto che è riuscito nell’intento di stuzzicare ulteriormente la mia curiosità sul periodo storico in cui si svolge e che come romanzo storico non è da buttare, anzi, ma purtroppo non sono riuscita ad apprezzarlo in ogni singolo dettaglio. Sarà un mio limite, che ci posso fare? Almeno ci ho provato. Sicuramente non leggerò il secondo romanzo perché il mio interesse era limitato alla Barcellona di inizio ‘700 e quindi non avrebbe senso continuare, tenendo anche presente l’assenza di quella già citata scintilla che non è scattata tra me e Zuviría. [Ah, la storia “questi italiani sono ovunque!!1!” mi ha fatto troppo ridere perché è verissima. Siamo e saremo sempre in ogni dove, anche quando uno meno se l’aspetta]”

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